Matrimonio nullo, nonostante la convivenza durata più di tre anni, a fronte di un deficit psichico di un coniuge
Invece, la convivenza durata oltre tre anni impedisce il riconoscimento della sentenza ecclesiastica quando la nullità è stata dichiarata per mera deficienza caratteriale o immaturità del coniuge

A fronte della richiesta di riconoscimento, da parte dello Stato italiano. della sentenza ecclesiastica di nullità matrimoniale, la convivenza dei coniugi durata più di tre anni non costituisce, di per sé, un ostacolo insormontabile. A patto, però, che il vizio genetico del matrimonio-atto accertato dal Tribunale ecclesiastico corrisponda ad una causa di nullità prevista anche dall’ordinamento italiano, come, ad esempio, un deficit psichico. Questo il punto fermo fissato dai giudici (ordinanza numero 1999 del 28 gennaio 2025 della Cassazione), i quali, analizzando la specifica vicenda, precisano che non è precluso il riconoscimento della nullità matrimoniale quando tale nullità derivi da un deficit psichico, ossia da uno stato patologico idoneo ad incidere sulla capacità di intendere e volere del soggetto e sul corretto formarsi della sua volontà cosciente, e perciò assimilabile all’incapacità prevista dal Codice Civile. Diversamente, la convivenza durata oltre tre anni impedisce il riconoscimento della sentenza ecclesiastica quando la nullità sia stata dichiarata per mera deficienza caratteriale o immaturità del coniuge, non riconducibile alle cause di nullità previste dall’ordinamento italiano. Accolta, nel caso specifico, la tesi proposta dall’uomo, tesi secondo cui la convivenza non può operare in termini ostativi al riconoscimento di vizi genetici dell’atto di matrimonio, ove il vizio genetico sia riconosciuto dall’ordinamento italiano e, in particolare, riguardi vizi del consenso analoghi a quelli previsti dall’ordinamento italiano.