Imprenditore dichiarato fallito: vanno considerati anche i debiti non derivanti dall’esercizio dell’impresa

L’ordinamento italiano, ai fini della sussistenza del presupposto dell’insolvenza, non distingue tra i debiti di un imprenditore individuale, in ragione della loro natura civile o commerciale

Imprenditore dichiarato fallito: vanno considerati anche i debiti non derivanti dall’esercizio dell’impresa

Ai fini della verifica del superamento dei limiti dimensionali previsti dalla legge fallimentare, debbono essere computati tutti i debiti dell’imprenditore individuale, anche quelli non derivanti dall’esercizio dell’impresa, in quanto tutti i debiti, precisano i giudici (ordinanza numero 31283 del 10 dicembre 2024 della Cassazione) fanno unitariamente ed inscindibilmente capo allo stesso ed unico debitore, non avendo la ditta individuale una soggettività giuridica distinta rispetto alla persona del suo titolare. Riflettori puntati, nella specifica vicenda, sul reclamo proposto dal titolare di un’impresa individuale a fronte del provvedimento giudiziario con cui ne era stato dichiarato il fallimento. Per i giudici d’Appello, però, ai fini della verifica del limite dimensionale previsto dalla legge fallimentare, si deve tener conto anche degli ingenti debiti del soggetto, pur se non derivanti dall’esercizio della ditta individuale ma da lui contratti nei confronti dell’erario, per evasione dell’IVA, nell’accertata qualità di socio occulto di una società di fatto e e di amministratore di fatto di quattro società. Questa visione è erronea, secondo il soggetto dichiarato fallito, poiché, legge fallimentare alla mano, i debiti dell’imprenditore individuale non sorti in dipendenza dell’esercizio dell’impresa non devono essere computati ai fini della verifica del superamento del limite dimensionale. A tale obiezione, però, i magistrati ribattono richiamando il principio secondo cui l’ordinamento italiano, ai fini della sussistenza del presupposto dell’insolvenza, non distingue tra i debiti di un imprenditore individuale, in ragione della loro natura civile o commerciale, in quanto non consente limitazioni della garanzia patrimoniale in funzione della causa sottesa alle obbligazioni contratte, tutte ugualmente rilevanti sotto il profilo dell’esposizione del debitore al fallimento. Ciò anche perché solo l’alterità soggettiva (ad esempio, in caso di impresa gestita tramite una società di capitale unipersonale) introduce un criterio diverso di imputazione dei rapporti obbligatori, in base al principio dell’autonomia patrimoniale perfetta. Tale principio, sanciscono i giudici, pur se enunciato ai fini della valutazione del presupposto dell’insolvenza, deve applicarsi, a maggior ragione, anche ai fini della verifica dei limiti dimensionali (ammontare dei debiti) di un’ impresa individuale, atteso che tutti i debiti fanno unitariamente ed inscindibilmente capo allo stesso ed unico debitore, persona fisica, non avendo la ditta una soggettività giuridica distinta rispetto alla persona del suo titolare.

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